Pubblicato in Ratio News
Tra le novità introdotte dal D.lgs. 139 del 2015, riguardanti le informazioni da riportare nella nota integrativa abbreviata, vi è la comunicazione, resa ormai obbligatoria, circa l’ammontare degli emolumenti spettanti agli amministratori. Si tratta di un’estensione d’informativa, precedentemente richiesta esclusivamente per il bilancio in forma estesa, che consentirà una più attenta e accurata valutazione circa l’andamento della gestione.
In Italia, come noto, non sono rari i casi in cui la figura del socio rivesta anche la carica di amministratore. Tale sovrapposizione, sebbene sia un caratteristico elemento di governance nelle c.d. family business, può in fase di analisi di bilancio (valutazione d’azienda, ma anche valutazione circa il merito creditizio) produrre rilevanti distorsioni valutative. Spesso infatti, il/i socio/i amministratore/i, decide/ono di rinunciare totalmente o in maniera parziale (a seconda della composizione sociale) a dividendi in cambio di una equivalente maggiorazione in termini di emolumenti. Tale politica, se ovviamente in accordo, o ancora, come spesso avviene, in mancanza di soci di minoranza non amministratori, può risultare percorribile. A condizione però, che non vi siano i presupposti per ritenere tale operazione elusiva sotto il profilo tributario.
Tale atteggiamento produce però una problematica in termini di rappresentazione del corretto andamento societario. Come noto, infatti, gli emolumenti, a differenza dei dividendi, costituiscono un costo da inserire in conto economico, alla voce B.7, quali costi per servizi. Tale imputazione quindi riduce, impropriamente, la marginalità aziendale, portando in alcuni casi le società (non esposte finanziariamente) a chiudere con bilanci pressoché in pareggio.
Alla luce di tale scenario, l’utilizzatore del bilancio, che non individuasse tale politica di remunerazione impropria dei soci, non sarebbe in grado di valutare la reale redditività dell’impresa e le reali potenzialità sotto il profilo economico.
La soluzione a tale problematica è quella di apportare alcuni correttivi. In particolare, si dovrà sostituire il sovrastimato emolumento con un valore più congruo in relazione alle dimensioni aziendali e al grado di complessità dell’attività che l’amministratore deve svolgere. In tal modo si potranno isolare i costi dell’organo gestorio dalla componente spettante ai soci come remunerazione del capitale investito. Per attuare tale ripresa, l’utilizzatore esterno (ad esempio investitore o banca) deve in primis essere a conoscenza circa l’effettivo ammontare di tale componente. In tal senso, la normativa previgente, in vigore fino al 31 dicembre 2015, richiedeva al punto 16 dell’art. 2427 c.c., l’inserimento di tale informazione come obbligatoria soltanto per i bilanci in forma estesa. Tale informativa poteva infatti essere omessa in fase di predisposizione della nota integrativa abbreviata, così come disposto la previgente versione dell’articolo 2435-bis c.c.. L’attuale normativa, a seguito delle modifiche introdotte con il D.lgs. 139/2015, estende tale previsione non solo anche ai bilanci in forma abbreviata (spesso, per le limitate dimensioni i più soggetti a tale fenomeno), ma anche alle micro-imprese. In questo modo sarà possibile per eventuali creditori sociali una più corretta determinazione dell’EBITDA, grandezza fondamentale non solo per comprendere le potenzialità del core business, ma anche la capacità di generare liquidità, nonché la sostenibilità del debito.