Pubblicato sulla rivista “Crisi, gestione economico finanziaria e rilancio dell’impresa“.
Tra le varie misure introdotte dal legislatore per aiutare le imprese a fronteggiare la crisi aziendali prodotte dall’emergenza sanitaria da COVID-19, un ruolo importante e rivestito dalla sospensione, per l’anno 2020, all’obbligo di ricapitalizzazione per le imprese che, a seguito di una contrazione dei fatturati, si sono viste ricadere nella disciplina della riduzione del capitale per perdite.
La disciplina della riduzione del capitale per perdite, contenuta agli artt. 2446 e 2447 c.c. per le S.p.A e 2482-bis e ter per le S.r.l., fu introdotta dal legislatore con la funzione di campanello di allarme preventivo (oggi si definirebbe early warning) per l’individuazione un possibile stato di difficolta delle imprese. Prima che queste stesse imprese manifestino situazioni di squilibrio finanziario che conducono alla manifestazione dello stato di insolvenza, situazione spesso terminale e non reversibile. Va infatti considerato che, lo squilibrio economico, prodotto quando la perdita è da considerarsi rilevante, che diventa anche squilibrio patrimoniale quanto la stessa erode il capitale, non sempre è preludio si situazioni di squilibrio finanziario, con la relativa compromissione del presupposto della continuità aziendale. In questa logica, una sua sospensione, così come la disapplicazione della clausola di scioglimento, sono da ritenersi provvedimenti opportuni nell’evitare per molte imprese adempimenti non necessari, dettati semplicemente dalle contingenze.
Al contrario, non va dimenticato che per tutte quelle società la cui continuità aziendale risulta invece compromessa, tale disapplicazione non deve essere vista come una scorciatoia o un salvagente, in quanto non sottrae gli amministratori, nonché gli organi di controllo, da scelte spesso difficili, ma opportune, al fine di scongiurare scenari di maggiore gravità.
Entrando nel merito dell’attuale disciplina, l’art. 6 del D.L. n. 23 dell’8 aprile 2020 prevede la possibilità, per S.r.l., S.p.A., S.a.p.a e cooperative di posporre (qualora ve ne sia l’opportunità) gli “opportuni provvedimenti” connessi alla riduzione del capitale per perdite al 2025, in particolare all’assemblea chiamata ad approvare tale bilancio. Tale previsione disapplica la disciplina della riduzione del capitale per perdite di cui agli articoli 2446, commi 2 e 3, 2447, 2482-bis, commi da 4 a 6, 2482-ter del codice civile, mantenendo comunque operativo l’obbligo in capo agli amministratori di convocazione dell’assemblea e di predisposizione dell’opportuna documentazione. In tal senso infatti si rammenta che resta invece la piena vigenza degli artt. 2446, comma 1, e 2482-bis commi 1, 2, 3 c.c..
Inoltre, e non di minor importanza, è anche prevista la disapplicazione della clausola di scioglimento ex articolo 2484, comma 1, numero 4, e 2545-duodecies del codice civile, che come noto prevedono, tra le altre, come causa di scioglimento la riduzione o l’azzeramento del capitale sociale.
Fatta questa doverosa premessa, va però considerato che, allo stato attuale delle cose, la presente norma, così come modificata dalla legge n.178 del 30 dicembre 2020 (legge di bilancio 2021), genera ancora grande incertezza in capo ad amministratori, consulenti e organi di controllo che ancora nella sua corrente formulazione presenta difficoltà nel definire una linea di applicazione univoca. Tema ancora più rilevante e di attualità se si considera che non tutte le imprese sono già riuscite e colmare i deficit economici prodotti dalla pandemia in questi primi mesi del 2021. Il presente contributo pertanto si prefigge di prendere in rassegna le principali posizioni emerse in dottrina e nella prassi, in primis in merito all’individuazione delle perdite da “sterilizzare” al fine di disapplicare la disciplina della riduzione del capitale per perdite, ma anche provando ad individuare una soluzione su quale debba essere il comportamento da seguire in vista del bilancio 2021 e in quelli del quinquennio c.d. di sospensione.
Riformulazione della previsione
Prima di entrare nel merito circa il dibattito sulle modalità di attuazione della disapplicazione in esame, vale la pena tracciare brevemente l’iter normativo che ha portato all’attuale formulazione.
Nella sua formulazione originaria, anche dettata dalla necessità di un repentino intervento a seguito degli stop forzati delle attività produttive causati dai drastici provvedimenti per arginare la diffusione dei contagi, l’art. 6 del D.L. n. 23 dell’8 aprile 2020 presentava questa formulazione:
Art. 6. – (Disposizioni temporanee in materia di riduzione del capitale) 1. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla data del 31 dicembre 2020 per le fattispecie verificatesi nel corso degli esercizi chiusi entro la predetta data non si applicano gli articoli 2446, commi secondo e terzo, 2447, 2482-bis, commi quarto, quinto e sesto, e 2482-ter del codice civile. Per lo stesso periodo non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, primo comma, numero 4), e 2545-duodecies del codice civile.
Tale disposizione, cha ha l’intento di sospendere l’espletamento per legge di appositi provvedimenti, ha da un lato favorito le imprese e i relativi organi altrimenti coinvolti, ma dall’altra, a causa della sua formulazione, ha creato non pochi problemi interpretativi. In particolare, si fa riferimento al rimando generico di fattispecie, nonché all’individuazione di uno specifico arco temporale di disapplicazione, ossia con riferito agli esercizi “chiusi alla predetta data”. Previsione che limitava quindi alle imprese con esercizio non coincidente con l’anno solare di avvalersi dell’agevolazione. Va però considerato, che trattandosi di una disposizione di urgenza, nonché basata sull’intenzione di rimettere poi mano alla disposizione per una sua successiva rivisitazione, il concetto di fattispecie sembrava opportuno nell’estendere la disapplicazione in chiave generalizzata, non solo quindi alle problematiche sorte nei primi mesi del 2020, ma anche ciò che generato in periodi precedenti poteva giungere a manifestazione nell’esercizio nel quale era in corso l’emergenza sanitaria. Posizione poi accolta da più parti, prima tra tutte ricordiamo il Consiglio del notariato di Milano con la massima n. 191 del 16 giugno 2020.
Per evidenti motivi di necessità, il legislatore ha poi rimesso mano alla norma sospensiva introducendo specifiche modifiche attraverso le disposizioni contenute all’art. 1, comma 266 della L. n. 178/2020, che ha condotto alla seguente riformulazione.
Art. 6. – (Disposizioni temporanee in materia di riduzione di capitale) – 1. Per le perdite emerse nell’esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2020 non si applicano gli articoli 2446, secondo e terzo comma, 2447, 2482-bis, quarto, quinto e sesto comma, e 2482-ter del codice civile e non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, primo comma, numero 4), e 2545-duodecies del codice civile.
- Il termine entro il quale la perdita deve risultare diminuita a meno di un terzo stabilito dagli articoli 2446, secondo comma, e 2482-bis, quarto comma, del codice civile, è posticipato al quinto esercizio successivo; l’assemblea che approva il bilancio di tale esercizio deve ridurre il capitale in proporzione delle perdite accertate.
- Nelle ipotesi previste dagli articoli 2447 o 2482-ter del codice civile l’assemblea convocata senza indugio dagli amministratori, in alternativa all’immediata riduzione del capitale e al contemporaneo aumento del medesimo a una cifra non inferiore al minimo legale, può deliberare di rinviare tali decisioni alla chiusura dell’esercizio di cui al comma 2. L’assemblea che approva il bilancio di tale esercizio deve procedere alle deliberazioni di cui agli articoli 2447 o 2482-ter del codice civile. Fino alla data di tale assemblea non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, primo comma, numero 4), e 2545- duodecies del codice civile.
- Le perdite di cui ai commi da 1 a 3 devono essere distintamente indicate nella nota integrativa con specificazione, in appositi prospetti, della loro origine nonché delle movimentazioni intervenute nell’esercizio.
Tale riformulazione, più specifica, sostituisce il termine fattispecie con “perdite emerse” e meglio delinea il perimetro di applicabilità estendendone l’operatività anche agli esercizi in corso al 31 dicembre 2020. Tale chiarimento ha come effetto l’estensione dell’agevolazione ai soggetti con esercizio non coincidente con l’anno solare. Inoltre la nuova formulazione fornisce indicazioni circa tempi e modi in cui devono essere gestiti gli squilibri economici e patrimoniali oggetto di osservazione.
Dubbi circa l’individuazione delle perdite rinviabili
L’attuale riformulazione ha il pregio di aver declinato il concetto più generico di fattispecie in “perdite emerse” nell’esercizio e questo rende più specifico il perimetro della sospensione. Nonostante ciò residuano comunque dubbi interpretativi, come di seguito illustrato.
Tra le altre, la circolare del MISE n. 26890 del 29 gennaio 2021, chiarisce che «…oggetto della norma sono solo le perdite emerse nell’esercizio 2020 (o negli esercizi non solari ricomprendenti la data del 31 dicembre 2020). Sembra da escludersi, pertanto, che la disposizione possa riguardare perdite relative ad esercizi antecedenti, come inizialmente da alcuni ipotizzato, restando le stesse assoggettate, di conseguenza, al regime generale». Di analogo avviso è quanto illustrato nella massima T.A.1 del Comitato Notai del Triveneto che spiega come «nella sua prima versione l’art. 6 del D.L. n. 23/2020 prendeva in considerazione le “perdite di capitale», ossia le perdite emerse in qualunque epoca che non essendo assorbite da riserve incidevano sul capitale nominale. Il suo criterio di attivazione era dunque “patrimoniale”. Nella sua nuova versione detta disposizione prende invece in considerazione le “perdite di esercizio”, ossia il risultato economico negativo di un singolo esercizio sociale (quello ritenuto “anomalo” a causa dell’emergenza Covid), al lordo di eventuali riserve in grado di compensarlo o ridurlo. Il nuovo criterio di attivazione della norma è dunque “economico” e non più “patrimoniale”.
Entrambe le posizioni concordano nel ritenere sterilizzabile soltanto le perdite che emergono dal conto economico del bilancio relativo all’esercizio 2020.
Di avviso contrario è invece Assonime con circolare n. 3 del 2021, così come il Consiglio Notarile di Milano, con la massima numero 196 del 2021 (in sostituzione della n.191 del 2020), i quali ritengono che siano da considerarsi incluse nel perimetro applicativo tutte le perdite risultanti dal bilancio 2020, incluse quelle emerse nel corso degli esercizi precedenti al 2020 e ancora presenti in bilancio. Tali interpretazioni hanno senza dubbio il pregio di essere più favorevoli per quelle imprese che negli ultimi anni hanno riscontrato difficoltà, ma risultano comunque più coerenti rispetto alla ratio agevolativa della norma orientata al preservare il tessuto economico nazionale. È opportuno però considerare che tale posizione richiede uno maggior sforzo interpretativo per addomesticare a suo favore il dato testuale della norma.
Vi è chi poi in dottrina ha proposto una teoria alternativa, distinguendo la disciplina contenuta nel primo comma della norma, con quella dei due commi successivi. Tale interpretazione, plausibile da un punto di vista letterale, prevedrebbe la “sterilizzazione” a titolo definitivo delle perdite al primo comma, mentre per le altre (comma 2 e 3) richiederebbe un loro riassorbimento nel quinquennio successivo. Tale tesi, come sottolineato dallo Studio n. 88-2021 del Consiglio Nazionale del Notariato non può essere accolta in quanto, da un lato consentirebbe l’introduzione nel nostro ordinamento, a tempo indefinito, di società con personalità giuridica e con patrimonio netto negativo, sia perché la sterilizzazione di tali perdite insieme al rinvio quinquennale per le ulteriori perdite successivamente prodotte configurerebbe un cumulo di tutele forse eccessivamente favorevole.
È invece unanime, come inizialmente poteva essere erroneamente desunto dalla relazione di accompagnamento del decreto, il venir meno della correlazione di causalità diretta tra la pandemia da COVID-19 e le perdite verificatesi. Trattandosi infatti di “crisi sistemica” risulterebbe impossibile per molte imprese e per molti settori l’individuazione delle sole perdite direttamente prodotte dai provvedimenti volti a fronteggiare la crisi sanitaria, senza contare che tali perdite potrebbero essere solo la punta dell’iceberg rispetto agli effetti che il rallentamento dei consumi può produrre.
Dubbi circa la quantificazione delle perdite
Oltre ai dubbi circa l’individuazione delle specifiche perdite da sospendere, si aggiungono anche le incertezze in merito alla loro quantificazione.
In particolare, l’espressione utilizzata del legislatore “perdite emerse nell’esercizio” rende a livello letterale plausibile tutte le opzioni, ossia quindi in una prima ipotesi, le perdite emerse per la prima volta nell’esercizio (tesi restrittiva), ma anche eventualmente tutte le perdite rilevate in bilancio, comprese quelle rinviate a nuovo da esercizi precedenti (formulazione estensiva), e ancora arrischiando un’ulteriore terza ipotesi, le perdite c.d. di esercizio, quelle cioè che emergono da conto economico.
Il Comitato dei Notai del Triveneto con la massima T.A.1 specifica che «l’entità delle perdite oggetto di sterilizzazione in forza delle disposizioni contenute all’articolo 6 e quella complessiva che emerge dal conto economico del bilancio relativo all’esercizio che comprende la data del 31 dicembre 2020 (voce 21 ex articolo 2425 del codice civile). Non solo quella parte di esse che incide sul capitale nominale in quanto non assorbita da eventuali riserve di patrimonio.»
Di avviso differente è invece il Consiglio Notarile di Milano che specifica con la massima 196 del 3 febbraio 2021 che «perdite emerse nell’esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2020”, ai sensi dell’art. 6, comma 1, d.l. 23/2020 (convertito con l. 40/2020), come modificato dall’art. 1, comma 266 della l. 178/2020, si devono intendere tutte le perdite risultanti dal bilancio di esercizio o da una situazione patrimoniale infra-annuale riferiti a esercizi o frazioni di esercizi in corso alla data del 31 dicembre 2020, a prescindere da quale sia l’esercizio in cui le perdite si siano prodotte.»
Ancora differente è quanto delineato dal Consiglio Nazionale del Notariato che, con lo studio n. 88/2021, fornisce elementi a supporto della possibilità di riportare in avanti tutte le perdite, comprese quelle precedentemente maturate, ma al netto di eventuali riserve in grado di assorbirle.
La non univocità di tali prospettive prefigura comportamenti differenti nella gestione delle perdite già maturate negli esercizi in corso e precedenti al 2020, ma anche è soprattutto in funzione dei provvedimenti che dovranno essere assunti in caso di nuove perdite maturate già nel 2021. Risulta quindi necessario trovare una posizione equilibrata che possa tutelare amministratori e sindaci.
Soluzione condividibile
Se consideriamo che la previgente versione dell’art. 6 ha consentito alle assemblee tenutesi dopo la sua entrata in vigore e fino alla fine del 2020 di disapplicare eventuali provvedimenti di ripianamento delle perdite con il riporto a nuovo di perdite maturate già nel 2019 e nei periodi precedenti, si può comprendere l’intenzione del legislatore di voler considerare non solo le perdite del tutto imprevedibili prodotte dalla pandemia, ma anche che nel peridio definito di “emergenza” erano già alle prese con difficoltà pregresse. Non apparirebbe ragionevole, come ampiamente illustrato dal Consiglio Nazionale del Notariato, che quelle medesime situazioni non fossero più meritevoli di tutela. Pertanto, in perfetta continuità con quanto ad oggi operativamente già fatto, sembra opportuno estendere la disapplicazione anche alle perdite maturate in esercizi precedenti.
Circa invece la quantificazione, risulta, a parere di chi scrive, condivisibile la conclusione proposta dal Consiglio Nazionale del Notariato che giunge alla conclusione che le uniche perdite da sterilizzare siano quelle che incidono sul capitale sociale. Questo scenario ha il pregio di considerare le perdite portate a nuovo come parte integrate e unitaria del patrimonio netto che quindi le recepisce in funzione della disponibilità delle eventuali riserve disponibili. Tale interpretazione definisce quindi nella sostanza anche il trattamento che dovrà essere assunto con riferimento alle perdite che si andranno invece a formare a decorrere dall’anno successivo a quello in corso al 31 dicembre 2020. In particolare, andando a sterilizzare la sola parte che incide sul capitale ci si prefigura una situazione in cui eventuali nuove perdite impatteranno direttamente sul capitale e pertanto qualora esse supereranno per ammontare il valore pari al suo terzo, riassoggetteranno la società alla disciplina della riduzione del capitale per perdite e alle eventuali altre fattispecie che ne derivano.
Tale impostazione è da cogliere con favore in quanto non rimette in discussione quanto già fatto nel 2020, ma suggerisce un approccio prudente nell’eventualità in cui nel 2021 perdurassero risultati economici negativi. Va comunque considerato che, a prescindere dall’approccio e dall’interpretazione che si decide di assumere, la disapplicazione non fornisce alle imprese una soluzione ai loro problemi. In tale logica la disapplicazione, anche se prudenziale, non può e non deve essere applicata qualora l’impresa presenti oltre al solo squilibrio economico, anche uno squilibro finanziario. Se infatti dovesse essere in discussione la continuità aziendale sarà comunque responsabilità e dovere degli amministratori il perseguimento di tutte le azioni possibili al fine di garantire la durabilità aziendale coinvolgendo i soci e ponendoli comunque nelle condizioni di poter deliberare su opportuni provvedimenti.